Il 5 maggio c.a. ho avuto il piacere di tenere un corso al master LUISS ESG e Sviluppo Sostenibile dove ho affrontato la Sostenibilità da una prospettiva insolita.
Ho pensato a lungo su un possibile contributo di senso in occasione di questo incontro, in cui davanti a me avevo professionisti provenienti dal mondo delle imprese private e pubbliche, colleghi già affermati che mi dedicavano tre ore. Il tema è stato quello di rivisitare i pilastri della Sostenibilità alla luce dei recenti eventi.
Quella in Ucraina è la prima guerra nell’epoca degli investimenti ESG scatenata in Europa.
Come sappiamo l’approccio ESG intende valutare le società che mettono in pratica prassi aziendali attente alle questioni ambientali, sociali e di governance (a fine 2020 avevamo a disposizione 40 metodi di valutazione, 150 classifiche e 450 indici ESG nel mondo). Il management di una società “old-school” aveva di solito un solo compito: massimizzare il valore della società per gli azionisti. Con l’avvento dei parametri ESG, questo non è più vero: ma diversi azionisti, stakeholder, governi, etc., hanno opinioni diverse su ciò che è bene per l’ambiente, la governance o più in generale la governance di un’impresa. Iniziare nuove perforazioni petrolifere è utile in un momento di crisi energetica, ma sicuramente non è positivo per l’ambiente. Acquistare nuovi armamenti può sembrare sensato dato l’aumento del rischio di aggressione russa contro l’Europa, ma difficilmente è considerato davvero ESG. Siamo davvero consapevoli dell’impatto determinato da eventuali inversioni di rotta?
È la fine della globalizzazione come abbiamo conosciuto e vissuto fino a oggi? Il capo di BlackRock – Larry Fink – nella lettera agli investitori 2022, sembrerebbe paventare questo rischio, anche se le strozzature nelle filiere e i problemi di approvvigionamento delle catene del valore erano in realtà già evidenti prima del conflitto ucraino.
E chi si occupa di Sostenibilità, di materie prime e di circolarità lo sa bene. Assistiamo da almeno tre anni alla scarsità di materie, ben prima della pandemia. Di recente Assolombarda ha pubblicato una tabella riassuntiva degli aumenti delle materie prime evidenziando come in un periodo medio di 2 anni il prezzo del gas sia aumentato del 580%, quell’dell’elettricità del 333%, quello del legno del 180%, del ferro del 49% e così via.
Il mondo, con le sanzioni alla Russia, con l’uscita dei global brand da Mosca, con le azioni di reshoring e accorciamento delle filiere di molte realtà produttive internazionali sembra essersi rimpicciolito, ma come andrà sul lungo periodo? E come approcciare l’enorme sfida della sostenibilità? Rischiamo di esserci “giocati la partita” ai primi missili lanciati verso Kiev?
Daniele Manca, vicedirettore del Corriere della Sera, di recente afferma in un articolo che: “Se c’è un errore che dobbiamo evitare in questi mesi è rallentare la transizione ecologica”. Green, sostenibilità, impatto sociale sono i fari che devono guidare policy maker e business leader – anche in un quadro di enorme turbolenza e instabilità come quello attuale – per continuare a produrre valore economico-sociale- ambientale in una società che accennava i primi segni di ripartenza dopo il biennio pandemico. Pandemia che aveva già messo in evidenza la centralità della “comunità”, l’importanza della relazione, della reciprocità, del mutualismo e della cooperazione come meccanismi di auto-regolazione e protezione dei sistemi sociali sotto forti condizioni di stress.
In questo quadro macro la formazione a giovani, manager, imprese pubbliche e private, sanità, terzo settore, istituzioni può fare moltissimo. Serve un approccio che metta in stretta relazione la formazione con il tessuto economico, imprenditoriale e sociale del territorio può essere un motore di sviluppo e innovazione, in tempi complessi di guerra e potenziale de-globalizzazione. Sono necessarie nuove competenze e classi dirigenti consapevoli del valore della sostenibilità. Lo chiedono la società e in particolare le nuove generazioni, e lo richiede una rivoluzione digitale dal potenziale sconfinato ma da governare nei suoi risvolti etici non sempre chiari, da guidare per far sì è che la crescita sia reale ed inclusiva, per tutti.
La forza di una “impact education” è quella di accompagnare e sostenere il business verso criteri di valore sociale, merito, inclusione e società aperte, in contrapposizione a chi vorrebbe oggi un ritorno a muri e confini nazionali sotto la spinta di tensioni militari, geo-politiche, energetiche.
Sul piano economico e sociale gli effetti del conflitto combinati a quelli del Covid sono pesantemente negativi. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in un discorso pronunciato il 26 marzo 2022, li ha riassunti con efficacia, come risulta da questa sintesi del Sole 24 Ore.
‘A livello globale’, lo stato di cose determinato dall’emergenza Covid-19 ‘può avere effetti sul piano della povertà estrema’, tanto che si stima che ‘oltre 100 milioni di persone torneranno in stato di povertà estrema’.
E ancora:
Riferendosi invece allo scenario geopolitico provocato dalla guerra in Ucraina, Visco ha richiamato il ‘rischio di un brusco rallentamento’ nelle dinamiche di interdipendenza della globalizzazione, oltre al ‘rischio di accentuata regionalizzazione, di investimenti produttivi più bassi e incertezze per la domanda futura’. In periodi come questi l’attenzione si sposta ‘su temi come la sicurezza energetica, la fornitura di gas, la diversificazione delle fonti di energia, le materie prime, e queste ‘sono nuove sfide che si vanno a sovrapporre alla transizione green rendendola più ardua’.
Anche il premio Nobel Joseph Stiglitz, in una recente intervista, condivide questo pessimismo sui tempi della transizione ecologica:
“Purtroppo ci saranno delle scelte da fare, spostando gli investimenti da un settore all’altro. Anche se questo è sgradevole, viviamo un’emergenza troppo drammatica”.
E ancora, sul campo dell’agricoltura biologica, assistiamo dopo più di 20 anni di convinzioni unidirezionali a prese importanti di coscienza verso i Paesi più poveri o Paesi in conflitto, verso realtà in cui necessariamente le nostre produzioni dovranno sopperire alle loro mancanze dovute a guerre, siccità, malattie. Il Patron di Syngenta, Erk Fyrwald, in un’intervista di qualche giorno fa, sostiene che davanti alla minaccia di una crisi alimentare mondiale, i Paesi ricchi abbiano l’obbligo di aumentare la loro produzione agricola – abbandonando dove serve la rigorosa impostazione biologica – al fine di evitare una catastrofe senza precedenti.
Il multilateralismo deve proseguire
Quali saranno gli effetti della guerra sulla collaborazione multilaterale da cui dipende in larga misura l’attuazione dell’Agenda 2030? In realtà il mondo non è mai stato in pace. Anche prima di questa invasione dell’Ucraina da parte della Russia, gli esperti di geopolitica contavano una sessantina di conflitti in corso nel Pianeta. Forse è vero che si tratta di scontri che sentivamo lontani, tra gente non di pelle bianca. Il nostro modo di guardare al mondo si basa su due pesi e due misure, come si è visto anche nella diversa accoglienza dei profughi dalla Ucraina e dal Medio Oriente e su questo punto è certamente necessaria una riflessione etica ancor prima che politica. Ma è anche vero che questa guerra ha dimensioni e implicazioni che possono avere un forte impatto su tutta l’umanità: per l’importanza delle nazioni in conflitto, per il rischio di una escalation nucleare, per le conseguenze che sta già avendo sul commercio internazionale, soprattutto per i generi alimentari e i fertilizzanti di cui Ucraina e Russia sono forti esportatori e naturalmente per la disponibilità di fonti energetiche.
È dunque possibile che si vada verso una “regionalizzazione” come denunciato anche da Visco, che cioè anche a guerra finita restino divisioni che rendono più difficile la collaborazione internazionale. Per evitare questo rischio non si può che fare affidamento sulla diplomazia e sul dialogo, cogliendo ogni spiraglio per mantenere aperto il negoziato: con la Cina, partner ormai indispensabile di ogni discorso sul futuro del mondo, con l’India, gigante spesso sottovalutato ma anche con la Russia che l’Unione europea non potrà ignorare. Ma non facciamoci trovare impreparati, perché anche se inevitabilmente il restringersi degli orizzonti commerciali imporranno nuove soluzioni, non ricominciamo da capo, esiste il modello che stiamo imparando ad applicare, seppur molto lentamente. Mi riferisco al cambio di passo dirompente ed innovativo determinato dall’approccio circolare nei processi, nella produzione, nello scambio di materia. Esso ha tradizioni appunto regionali prima che nazionali.
Dove punta la Finanza
Il conflitto in Ucraina ha aperto una discussione sull’opportunità di rivedere le valutazioni ESG di alcuni settori, in particolare Difesa ed Energia, oltre a far emergere critiche per il fatto che fondi ESG investissero in società come Gazprom e Rosneft, o che comunque avessero una certa esposizione alla Russia. Per capire l’impatto del conflitto sulle valutazioni ESG, “bisogna capire che valutazioni sono”, secondo Jacopo Schettini Gherardini, direttore dell’Ufficio Ricerca di Standard Ethics. “Parte di queste valutazioni sono in realtà fatte da fondi e banche, o richieste dagli investitori direttamente – spiega – L’impatto è quindi calcolato in base agli obiettivi di investimento dei committenti o di chi fa la valutazione. E quindi abbiamo delle scelte molto variegate, con una certa incoerenza o differenziazione nei tempi e nelle modalità”.
Alcune realtà si sono già mosse. Appena un anno dopo che la banca svedese SEB aveva adottato una nuova politica di sostenibilità, che escludeva le azioni di chi ricava oltre il 5% delle proprie entrate dal settore della difesa dai suoi fondi, il gruppo ha fatto un dietrofront. Dal 1° aprile, sei fondi potranno investire nel settore della difesa.
La domanda che pongo è: ma davvero pensiamo che la Sostenibilità sociale, ambientale e di governance sia adattabile senza con ciò depauperarne il senso, gli obiettivi, la sua natura?
Un altro parametro degli investimenti ESG toccato dal conflitto in Ucraina è l’orizzonte di investimento.
Questa situazione sta mettendo alla prova il sistema ESG, perché l’idea di un investimento sostenibile presuppone uno sguardo di lungo periodo, mentre l’emergenza della guerra sta facendo vacillare alcune posizioni sulla “ragionevolezza” di investimenti sui combustibili fossili o sul settore della difesa.