Il termine due diligence, comunemente usato per indicare l’attività di verifica che viene svolta prima di importanti operazioni societarie (quali fusioni o acquisizioni) o della stipula di contratti, assume nella Direttiva un significato più ampio, che abbraccia la Sostenibilità ed è imposta alle imprese in relazione ai propri obiettivi appunto di sostenibilità. Le grandi imprese attive nel mercato europeo dovranno infatti prevenire, individuare, attenuare, arrestare e riparare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente che derivano dallo svolgimento non solo delle attività loro proprie, ma anche di quelle dei loro fornitori e “partner commerciali”, situati a monte (si pensi all’estrazione di materie prime) e a valle (si pensi alla distribuzione, al trasporto del prodotto). In questo senso viene imposto un “dovere di vigilanza” inteso come dovere di porre in essere tutte le “misure adeguate” a conseguire gli obiettivi del rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.
Si sottolinea che le imprese non sono tenute a garantire che i suddetti impatti negativi non si verificheranno mai, ma dovranno dimostrare di avere fatto tutto quanto ragionevolmente possibile per conseguire tale risultato. In altre parole, il dovere di diligenza si configura come un’obbligazione di mezzi.
In attesa di futuri orientamenti della Commissione europea che chiariscano le modalità e le misure pratiche tramite le quali le società dovranno adempiere, un punto è però già ben chiaro e rappresenta la vera novità della Direttiva: il dovere di diligenza è presidiato da un apparato sanzionatorio potente, peraltro chiaramente ispirato a quello, ben noto, in materia di tutela della concorrenza.
Viene infatti imposto agli Stati membri un efficace sistema di private enforcement, ossia una responsabilità risarcitoria delle società che, violando con dolo o colpa gli obblighi di cui alla Direttiva, causino un danno all’ambiente o ai diritti umani. Sul modello del diritto della concorrenza, è poi previsto uno specifico riconoscimento delle associazioni rappresentative di interessi diffusi (ad esempio associazioni ambientali).
Nei mesi a seguire molti altri aspetti della direttiva saranno vagliati e chiariti (soprattutto l’apparato sanzionatorio penale e gli organi di controllo), ma risulta già chiaro come la Sostenibilità non sia più esclusivamente un asset di “soft law” ossia un canone di condotta volontaristico per ragioni reputazionali e di competitività ma sia vera e propria materia giuridica la cui violazione potrà essere significativamente sanzionabile.
Risulta quindi fondamentale aiutare le imprese a comprendere i vantaggi oltre che le giuste modalità di implementazione e quindi adoperarsi affinché si preparino e si adeguino. AISEC – in ambito ASviS – potrebbe promuovere, quindi, forme di adempimento collettivo agli obblighi di due diligence, per facilitare il rispetto da parte soprattutto delle PMI che costituiscono la gran parte del tessuto produttivo italiano. Infatti sappiamo che la chiarezza sui principi ESG consenta sempre al mercato certezza in materia di diritti, chiarendo cosa ci si aspetta dalle imprese soprattutto in termini sociali e di tutela dei diritti umani.