Socrate amava le idee provocatorie, Aristotele ne era irritato e invocava soluzioni ragionevoli
Il tema della “scelta” tra due soluzioni è al centro dei nostri comportamenti sociali, privati e pubblici. Come fare per conquistare la virtù e potersi definire “per bene”? Come abbracciare un comportamento etico e giusto quando ci si trova a decidere tra due fuochi? Invocando Socrate, per diventare buono e giusto, basta sapere cosa è il bene o la giustizia: quando lo sapremo ci comporteremo spontaneamente in modo buono e giusto.
Totalmente all’opposto le tesi di Aristotele, secondo cui per diventare virtuosi non occorre sapere cosa sia giustizia e onestà, contano cultura, avere una preparazione solida ed aver esercitato l’opzione. L’esperienza e – spesso – il dolore che scaturisce dopo una scelta, infatti, sono alla base della virtù acquisita.
Scomodo i due grandi filosofi per argomentare su un paio di aspetti a me cari: sull’immutabilità o meno delle virtù e come ed a opera di chi fondare oggi un decalogo di virtù socialmente riconoscibili ed esercitabili.
Il primo aspetto riguarda gran parte della nostra vita e ne assorbe tratti – non di poco conto – della sfera personale e dei modelli comportamentali che ne derivano, intaccando famiglia, relazioni, lavoro, politica, impegno nel sociale, religione. Chiosa comune a tutte le dimensioni citate è: da dove vengono i valori su cui si fonda una società? Chi ci assicura che i valori della nostra società siano quelli corretti? Non sono stabiliti a tavolino, ma fanno parte della pratica di vita dei membri di quella comunità.
In occasione delle prime riflessioni sulla Diversity (cfr. Diversity: Use of a common language – www.AISEC-economiacircolare.org) si è già affrontato il tema dei valori di ciascun territorio e del modo come esprimerli attraverso il linguaggio. Abbiamo visto come sia dirimente l’aspetto culturale di ciascun popolo. Ora parliamo di contestualizzazione, di tratti caratteristici di un’epoca storica, in modo trasversale, orizzontale, consociativa.
L’umiltà, ad esempio, è una virtù o un vizio? Le risposte cambiano a seconda delle epoche. Per Aristotele l’umiltà era un vizio di cui liberarsi, si deve esigere quel che ci spetta. E per gran parte dei secoli addietro ciò è risultato tale. Machiavelli docet. Con l’avvento dei totalitarismi del XX secolo, si è assistito all’apoteosi di questo ed al radicale esercizio della supremazia di un popolo su altro popolo; oggi assistiamo ad ulteriori sue degenerazioni ad opera di popoli sopraffattori. Ma nelle democrazie occidentali, basate in gran parte sui valori delle Costituzioni e costituenti francesi (si veda Armando Saitta in “Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale” roccaforte del moderno costituzionalismo europeo e la consapevole volontà universalistica di legiferare per tutte le donne e gli uomini e non per dei semplici gruppi) il principio delle libertà garantite fornisce un giusto limite ad “esigere” ledendo i diritti altrui.
La lealtà, abiurare il trasformismo, il coraggio di esprimere le proprie idee con chiarezza, assumersi il rischio di affermare il proprio pensiero, costi quel che costi, sono virtù o vizi nella società contemporanea?
Le discriminazioni, definite comunemente vizi, che forma hanno assunto oggi?
Non senza una forte dose di spregiudicatezza, tiro in ballo la distinzione proposta da Mao Zedong più di mezzo secolo fa, tra contraddizioni “principali” e “secondarie”. La contraddizione viene definita non come un errore, un’anomalia, uno sbaglio ma, in qualche modo, è la componente di una data realtà storica e – aggiungo – va contestualizzata. E non è mai isolata, si porta dietro una lunga serie di altre contraddizioni. All’apice dell’era maoista, ad esempio, la contraddizione tra proletariato e borghesia era accompagnata dall’altra contraddizione tra imperialismo e colonie dipendendo essa in gran parte dalla prima.
Provando a traslare il concetto ad oggi, se le discriminazioni sono giustamente considerate da combattere in ogni loro forma, si trascinano dietro senza non qualche imbarazzo la contraddizione “principale” dello strapotere del pensiero comune di maggioranza, non sradicabile, non scalfibile, l’approccio antiprogressista di gattopardiana memoria.
Ma fornisco con ciò spazio anche ad un’altra grande discriminazione, il conflitto infra-generazionale, l’accesso ridotto concesso alle nuove generazioni, la mancanza di futuro. Quello che comunemente viene definito uno dei più grandi rischi di diseguaglianza è a fortiori la più grande categoria di discriminazione che la nostra epoca conosca. Privare del futuro le nuove generazioni rappresenta una delle forme più drammatiche di discriminazione. Sono cosciente di essere in minoranza nel sostenere questa categoria concettuale, tuttavia, se poniamo meglio la nostra attenzione leggendo le recenti proteste sociali pre-covid da parte dei più giovani, possiamo facilmente affermare che questa forma di discriminazione rappresenti il rischio sociale più grave a cui occorre porre rimedio subito. E questo rischio ci accompagna almeno dal secondo dopoguerra, dal giorno dopo la fine dei lavori sulla Costituzione. Ha riguardato anche la mia generazione.
E ancora, in epoca latina, la culla della nostra civiltà, il Mos maiorum rappresenta il nucleo della morale tradizionale della civiltà romana. Per una società come quella romana, le tradizioni sono il fondamento dell’etica: esse comprendono innanzitutto il senso civico, la pietas, il valore militare, l’austerità dei comportamenti e il rispetto delle leggi. Oggi riassumeremmo con un concetto di sintesi almeno quattro di queste cinque tradizioni, la creazione di futuro. L’etica e la morale da parte di una società è quella di sostenere un piano sostenibile per il futuro, in termini più moderni, dal punto di vista economico, sociale ed ambientale, in grado di garantire una possibile via alle nuove generazioni, l’occasione di sopravvivenza.
La nuova frontiera dell’etica dei tempi attuali: il rispetto dell’ambiente
Altro valore etico è quello attribuibile al rispetto dell’ambiente ed alla difesa della casa comune a tutela della sopravvivenza collettiva dell’umanità. Si può naturalmente obiettare che la contraddizione principale resta l’antagonismo del sistema capitalistico globale, poiché i problemi ambientali sono per lo più il risultato dello sfruttamento eccessivo e sregolato delle risorse naturali determinato dalla sete di profitto del capitalismo. Tuttavia risulta essere parziale questa ipotesi ed è discutibile se si possa ridurre tanto facilmente il disastro ecologico ad un effetto dell’espansione capitalista. Pur tuttavia la questione ambientale è una delle preoccupazioni principali del nostro tempo a cui si attribuisce un valore etico.
Recente è la proposta di introdurre nella Costituzione Italiana un Articolo che sancisca il diritto alla Sostenibilità sociale ed ambientale.
Ma allora risulta essere sempre più vistosa l’esigenza nei tempi attuali di avere una nuova categorizzazione dei valori di etica e dei criteri che ci conducono nelle nostre varie dimensioni sociali a definire il giusto dal non giusto.
Un appello ai pensatori “migliori” del nostro Paese a prendersi la briga di scrivere queste pagine per la cittadinanza.
Una sorta di Aventino dei tempi moderni.