L’obiettivo di questo breve articolo è cercare di fornire un’interpretazione maggiormente estesa delle nostre città, introducendo un paio di aspetti – il primo creare e sviluppare una conoscenza delle cd miniere urbane che miri ad ottenere risultati concreti in un tempo ragionevole, il secondo pianificare la realizzazione di database con relativi centri di raccolta delle materie prime seconde per il loro riuso e riciclo, al fine di fornire alle città stesse un servizio continuo e di qualità contribuendo ai loro target di Sostenibilità.
Le città giocano un ruolo determinante in questa era di grandi trasformazioni, anche in seguito all’impatto che l’emergenza COVID ha determinato sui comportamenti e stili di vita urbana. Basti pensare che oltre la metà della popolazione italiana vive nelle aree urbane e che quest’ultime rappresentano l’85% circa della produzione del prodotto interno lordo. Inoltre, le città sono responsabili del 75% di consumo di risorse naturali, producono il 50% dei rifiuti globali e contribuiscono alle emissioni di gas serra tra il 60% e l’80% del totale delle emissioni prodotte (Studio CESISP 2020). La drammatica crisi da COVID-19 e le sue cause, legate anche alla distruzione degli habitat naturali, spingono ad accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 in una logica di resilienza trasformativa, cioè a non a tornare indietro alla situazione ante-crisi, ma ad imprimere un deciso cambiamento al modello di sviluppo verso sostenibilità e circolarità.
Le città rappresentano anche il fulcro del progresso, dell’innovazione, della socialità, della sperimentazione di nuove forme di condivisione e di inclusione sociale, di forme non consuete di scambio di materia. Un luogo che, dal punto di vista del riuso di materia diviene miniera. Una miniera urbana è un sito dove vengono convogliati rifiuti già selezionati divenendo il luogo dove le materie già separate possono essere direttamente commercializzate e assumere nuova vita e valore.
Per rendere realtà le miniere urbane dobbiamo avere una conoscenza più approfondita di ciò che un tessuto urbano produce e dei processi di smaltimento degli esuberi. In molte realtà italiane ciò sembra impossibile. Eppure, se proviamo a delinearne almeno il processo, con esemplificazioni appositamente realizzate il quadro appare a poco a poco approcciabile e invitante per tutti coloro che hanno interessi anche di sviluppo prodotto o di progettazione ad hoc.
Per lo sfruttamento di minerali primari, occorre realizzare una mappatura del territorio dal punto di vista delle disponibilità in termini quantitative e della economicità dell’estrazione rispetto ai prezzi di mercato.
Per quanto riguarda le altre materie come carta e cartone, materiali da risulta da demolizione, legno ecc., il percorso intrapreso è lento e talvolta non produttivo e si svolge intorno al concetto di regolamento denominato di End of waste, prodotto dal Ministero dell’Ambiente.
Buone notizie per quanto riguarda la filiera cartaria, uno dei settori trainanti dell’economia circolare. A partire dal 24 febbraio 2021, i rifiuti di carta e cartone cessano, infatti, di essere qualificati come rifiuti assumendo la qualifica di “recuperati” e quindi possono essere adoperati per altri scopi (in conformità della norma UNI EN 643).
Tra gli altri decreti End of waste si attende a breve quello per i rifiuti da costruzione e demolizione ma ancora non si può cantare vittoria per il legno, materiale pregiato ed in accumulo proprio nelle aree urbane.
Occorre quantificare ed intercettare queste preziose materie attraverso una mappatura digitale, un database di cui le comunità debbono servirsi. Per quanto riguarda i rifiuti elettrici ed elettronici, come computer, batterie o rottami di veicoli ne esiste uno chiamato Urban Mine Platform. E’ utilizzabile in ben 30 stati europei e permette di tracciare oltre 18 milioni di tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici.
Database di altre materie stentano a decollare e questo non aiuta nel processo di recupero delle materie dalle città.
Eppure in EU aumenta la pressione verso una visione più sostenibile delle città, incoraggiando l’uso di indicatori parametrati secondo gli SDGs dell’Agenda 2030, tra questi si annoverano quelli legato al recupero di materia.
L’Unione europea, attraverso il Joint Research Center (JRC) della Commissione, ha messo a disposizione di tutti i governi locali lo “European handbook for SDG Voluntary local review” con l’obiettivo di fornire una guida a decisori politici e amministratori di tutte le comunità locali europee per creare la propria Voluntary local review (VLR), supportandoli nella scelta degli indicatori, mentre Eurocities ha pubblicato “Paving the way for sustainable cities. Eurocities report on the implementation of Sustainable Development Goals at local level”. Città e territori sostenibili sono al centro della trasformazione necessaria per raggiungere gli SDGs entro il 2030 per tre ragioni fondamentali: • sono i luoghi dove vivono i cittadini e senza un loro contributo diretto non ci potrà mai essere il profondo cambiamento che è necessario per portare il mondo sulla strada dello sviluppo sostenibile; • sono i luoghi nei quali è possibile costruire alleanze e coalizioni con tutti gli attori civili, sociali ed economici indispensabili per trasformare in pratiche gli Obiettivi e le proposte contenute nell’Agenda 2030; • attraverso i loro livelli di governo possono diventare interlocutori credibili dei governi nazionali e delle istituzioni sovranazionali per localizzare, adattandoli alle diverse situazioni, gli Obiettivi, per individuare le azioni necessarie e monitorarne costantemente il grado di conseguimento.
Possono risultare particolarmente utili i Rapporti annuali di Istat sugli SDGs8 e sugli indicatori del Benessere equo e sostenibile (BES).
Il Benessere equo e sostenibile (BES) fornisce un insieme di dati che consentono di rappresentare quanto un territorio sta bene, attraverso 130 indicatori, che illustrano 12 domini rilevanti. Nel corso del 2018-19, una ventina di Comuni italiani hanno lavorato (accompagnati lungo un percorso sperimentale predefinito) per mettere in contatto gli indicatori del BES con lo strumento della programmazione cioè il DUP. La sperimentazione è consistita nella creazione di una coerenza tra programmazione (il DUP), gestione (il bilancio) e la valutazione degli effetti (attraverso il BES). La sfida proposta ai Comuni è stata di associare gli indicatori del BES con le 12 missioni/programma previste dal bilancio comunale. Il criterio con il quale scegliere l’associazione è stato di individuare nell’indicatore BES l’output di un’azione/programma/attività/progetto. Cioè di leggerlo come risultato e non come input. L’obiettivo finale è quello di integrare nel DUP una matrice delle politiche che permetta di capire le connessioni tra le strategie adottate e gli effetti della loro attuazione. I vantaggi di questo strumento sono evidenti: • nell’immediato si ottiene una migliore la comprensione delle politiche dei Comuni e una maggior capacità di comunicarle agli stakeholder; • connettendo le politiche con indicatori misurabili, si agevolano i processi di valutazione, permettendo alle amministrazioni di aumentare l’efficacia delle loro decisioni; • si possono confrontare potenzialmente in modo più semplice le diverse realtà comunali fra di loro in una sorta di benchmarking.
Peraltro, dopo l’emergenza da COVID-19 diversi Comuni hanno posto maggiore attenzione agli Obiettivi di sviluppo sostenibile in una veste nuova, con l’ambizione di estendere la responsabilizzazione dell’amministrazione comunale rispetto alla loro possibile traduzione locale attraverso il coinvolgimento delle loro comunità.