Si è concluso da poco l’evento organizzato da AISEC per Ecomondo sulle sfide dell’industria tessile in chiave ESG. Per iniziativa della nostra presidente Eleonora Rizzuto – membro del comitato scientifico di Ecomondo – la nostra Associazione è stata tra le protagoniste del Salone.

Nel percorso orientato alla sostenibilità ambientale e alla trasformazione circolare dei nostri sistemi economici, l’industria del tessile assume un ruolo strategico. Non soltanto per via delle sue dimensioni, accresciutesi notevolmente negli ultimi lustri, in linea con la crescita demografica e i cambiamenti sociali del pianeta. Ma anche in ragione delle caratteristiche che ne connotano la struttura, rimasta ancora in buona parte legata a un modello lineare di produzione. In questo ambito, pertanto, l’incidenza di una conversione circolare del suo assetto produttivo sarebbe particolarmente significativa. Ad oggi, però, l’impatto negativo dell’industria del tessile sugli equilibri ambientali è ancora molto sostenuto. I dati sono inequivocabili. Rappresenta il quarto settore produttivo per quanto riguarda le conseguenze sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per il consumo di acqua. Secondo stime dell’Onu sarebbe responsabile del 10% delle emissioni annue totali di carbonio sul pianeta, di più degli effetti di tutto il trasporto aereo e marittimo messi insieme; consumerebbe quasi 100 mld di metri cubi di acqua all’anno (pari al fabbisogno di 5 milioni di persone), essendo la causa del travaso nel mare di mezzo milione di tonnellate di microfibra sintetica.

La strategia della UE per prodotti tessili sostenibili e circolari

Dato che incidenze proporzionalmente simili si verificano anche nel vecchio continente, l’Unione Europea, nell’ambito del nuovo Piano d’azione sull’economia circolare, ha individuato l’industria del tessile tra quelle che più necessitano di una modifica degli assetti, nella direzione di un recupero di sostenibilità del suo funzionamento. Ne è nata, nel 2022, la Strategia della UE per prodotti tessili sostenibili e circolari, che definisce gli indirizzi soprattutto normativi da seguire, per cercare di raggiungere gli obiettivi indicati: «entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura costituiti da fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente». Oggi tali indirizzi normativi sono stati definiti, a supporto del complesso processo di conversione in senso circolare che dovrà interessare il settore. Nello specifico, la trasformazione indicata si concretizzerà attraverso un nuovo processo di ecodesign dei prodotti, una rinnovata responsabilizzazione dei consumatori e un loro affermato diritto alla riparazione dei beni durevoli consumati. Principi che sono contenuti, rispettivamente, nel regolamento Ecodesign in vigore dal 18 luglio 2024; nella direttiva Empowering consumers for the green transition del marzo 2024 e nella direttiva Right to repair del 10 luglio 2024. Atti i cui effetti interagiranno, giocoforza, con la previsione dell’introduzione della EPR (Responsabilità Estesa del Produttore) anche nel settore del tessile, che vedrà la luce in esito al procedimento di modifica in corso della direttiva quadro sui rifiuti, la n. 98 del 2008.

Le novità normative

Proprio in considerazione del contesto accennato, dunque, AISEC si è fatta promotrice di un proficuo confronto tra alcuni dei principali esperti e rappresentanti della filiera del tessile in Italia, riuniti in occasione dell’ultima edizione di Ecomondo, svoltasi alla Fiera di Rimini dal 5 all’8 novembre scorsi. L’occasione è stata utile per approfondire, con Guido Bellitti dello studio Chiomenti, le novità normative che nell’arco del prossimo biennio cominceranno a dispiegare i loro effetti, in un settore, qual è quello lato sensu della moda, che rappresenta la seconda industria italiana per fatturato. Ne è emerso un quadro normativo tratteggiato alla stregua di un vero e proprio “tsunami”; in cui anche i prodotti tessili, per effetto del regolamento Ecodesign, dovranno presentare dei requisiti ambientali minimi, non potranno essere più distrutti se rimasti invenduti, dovranno essere accompagnati da informazioni precise sulle loro prestazioni ed essere dotati di un passaporto digitale. Tali disposizioni, unite a quelle previste dalla direttiva Empowering consumers, che impongono ai produttori la responsabilità di fornire informazioni chiare, affidabili e pertinenti sui loro prodotti (al fine di contrastarne pratiche commerciali sleali) e combinate a quelle previste dalla direttiva sul Diritto alla riparazione, che favorisce il prolungamento della vita dei beni attraverso un obbligo di riparazione in capo ai produttori, affrontano il tema del consumo sostenibile dal lato sia dell’offerta, sia della domanda. Operando in una logica sinergica, nell’intento di far conseguire all’industria del tessile un recupero di qualità e di efficienza (attraverso l’allungamento della vita dei prodotti) e di sostenibilità, disincentivando la produzione crescente di rifiuti post consumo, che soprattutto il fast fashion contribuisce a generare. E affiancando, alla pratica del riutilizzo e della preparazione al riutilizzo, il sostegno al riciclo, che finora nel settore è rimasto marginale. Anche a causa dei frequenti impieghi di tessuti multifibre nei prodotti realizzati, difficilmente riciclabili a valle del loro consumo.

Epr, ecodesign e tracciabilità

Si nutre dunque grande fiducia negli effetti che l’introduzione dell’Epr per i produttori tessili (che l’Italia anticiperà con un apposito decreto previsto entro il secondo semestre del 2025) potrà sortire prima sull’incremento delle raccolte differenziate e poi sulla crescita del riciclo. D’altra parte, responsabilità estesa del produttore ed ecodesign sono strettamente collegati: l’introduzione della prima può favorire la progettazione dei prodotti in senso sostenibile e circolare, dato che l’obbligo introdotto in capo ai produttori di gestire il fine vita dei beni che hanno realizzato li costringerà, a monte, a migliorarne la progettazione, rendendoli più sostenibili e riciclabili.

Nella complessità che caratterizza questo nuovo impianto normativo, poi, un altro tema centrale che emerge è quello della tracciabilità. Come l’ha definita il vicedirettore del Sistema Moda Italia Mauro Chezzi, la tracciabilità costituisce un valido ancoraggio per ottenere la certezza sulla qualità della materia prima e del prodotto finito. A tal proposito, quindi, per ogni azienda emerge il tema della misurabilità e della correttezza dei propri dati, sempre più dirimente per la competitività futura. D’altra parte, i prodotti esteticamente belli e ben fatti non riusciranno più ad essere venduti se non avranno anche un set di dati che consentano di coglierne le performance sostenibili. In questo senso il passaporto digitale del prodotto non aiuta soltanto negli aspetti di tracciabilità, ma è utile anche nella fase del controllo del mercato. Inoltre, nell’ottica delle innovazioni di cui il settore del tessile necessita al fine di sviluppare il riciclo dei materiali che impiega nei prodotti, un ruolo fondamentale assumerà la sostituzione di tessuti di natura sintetica con tessuti naturali, che a fine vita possano rientrare in una logica biowaste. Proprio in questa direzione va considerato il progetto promosso da Hera Ambiente, in collaborazione con il laboratorio di analisi Arca di Pisa, volto a trasformare in compost, in uno specifico impianto, certi ritagli di pelle provenienti da alcune concerie e corredati di certificati di analisi che ne consentano il compostaggio. Pratica che potrebbe valere anche per determinati tessuti tessili di natura organica, con grandi vantaggi in termini di riduzione dell’impatto degli stessi una volta giunti a fine vita. Per sviluppare la circolarità del settore tessile, poi, insieme alla diffusione dei passaporti digitali occorrerà ampliare anche le buone pratiche della simbiosi industriale. Naturalmente, mentre quest’ultima attività risulta ormai definita nelle sue caratteristiche e occorre soltanto implementarla nelle dimensioni, il passaporto digitale si presenta come una misura più difficile da realizzare. Riuscire a sintetizzare a favore del consumatore in un linguaggio comune gli elementi necessari a definire la tracciabilità del prodotto rappresenta una grande sfida, che le principali aziende del settore tessile e moda si accingono ad affrontare. Consapevoli, comunque, che l’avanzamento della frontiera del riciclo in questo settore dovrà integrarsi con il mantenimento delle attività di raccolta finalizzate all’igienizzazione dei capi intercettati, ai fini di un successivo riutilizzo. Con quella filiera, insomma, che a monte vede l’impiego di molte cooperative di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati nel processo di raccolta degli abiti intercettati e che quindi è in grado di generare anche un grande valore sociale.

Tessile circolare e innovazione sociale

La sfida del settore tessile, dunque, è fare in modo che la transizione circolare e sostenibile del comparto possa generare anche un importante impatto sociale. Questo processo è senz’altro favorito nell’ambito territoriale dei distretti, come emerge in quello di Prato che, tra quelli del tessile, risulta il più grande d’Europa. Così come ha ricordato Valerio Barberis, che dell’esperienza di Prato è stato un protagonista, occorre definire politiche urbane tali da sviluppare la dimensione circolare delle attività sul territorio, affinché queste ultime possano integrarsi con quelle volte all’inclusione sociale, alla neutralità climatica e alla difesa dei diritti. In questo senso, l’esperienza di Humana, l’organizzazione umanitaria di cooperazione internazionale impegnata a sviluppare le attività di raccolta, selezione e vendita di abiti usati, presidia un segmento della filiera, quello della preparazione al riutilizzo, generando valore ambientale e sociale. Sia perché tali attività allungano la vita dei beni, contrastando la logica del fast fashion, e sia perché ampliano il ventaglio di opportunità in capo ai fruitori di questi nuovi prodotti. Soprattutto nelle parti del mondo in cui per le popolazioni locali sarebbe assai più complicato, sotto il profilo economico, accedere a prodotti di nuova fattura. D’altra parte, però, l’impatto sociale di attività che si svolgono nel settore del tessile può essere elevato anche nei territori economicamente più ricchi. E’ il caso del progetto Quid di Anna Fiscale, fondatrice a Verona di un’impresa sociale che ha nel suo scopo quello di creare abiti belli, partendo da tessuti di eccedenza e offrendo un’opportunità unica a persone affette da fragilità. In questo modo si garantisce una nuova esistenza oltre che ai tessuti, anche alle persone, generando un grande impatto positivo, ambientale e sociale.

Dunque, la trasformazione in senso circolare del settore del tessile/moda passa anche per la valorizzazione delle esperienze citate. In generale, per ciascuna impresa impegnata nel settore questo cambiamento non rappresenta soltanto un’opportunità da cogliere, ma anche una responsabilità da assumere, al fine di orientare tutto il comparto verso un futuro più sostenibile. In questa direzione, pertanto, si colloca anche l’attività di AISEC che, in ragione della sua mission, si impegna a sostenere in tutte le sedi più opportune le organizzazioni del comparto: accompagnandole, soprattutto, con un adeguato supporto nell’ambito normativo e attraverso l’individuazione delle soluzioni più efficaci per poter compiere quella trasformazione a cui le stesse organizzazioni sono chiamate.

di Saverio Scarpellino – Economista e consigliere AISEC