L’obiettivo di dare vita a un sistema di economia circolare rappresenta un cambiamento di paradigma che coinvolge aspetti normativi, produttivi, organizzativi e distributivi e di consumo. La rilevanza di questo cambiamento radicale implica infatti anche una ricaduta significativa sulla vita quotidiana dei cittadini e sulle abitudini di milioni di consumatori oltre che delle Imprese.
L’ Economia Circolare è, dunque, un modello economico che trascende i singoli perimetri aziendali e che implica modifiche profonde di processo non solo all’interno delle aziende che vogliano dotarsi di tale modello ma anche nelle relazioni tra gli attori citati.
L’Italia rappresenta per storia, tradizione e geografia il contesto ideale per lo sviluppo del modello economico circolare ma necessita di una strategia nazionale globale affinché si affronti il cambio di passo in modo sistemico e condiviso.
AISEC (Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare) è un’associazione non-profit fondata nel 2015 dedita esclusivamente alla promozione, diffusione ed applicazione del concetto di economia circolare in Italia, nella convinzione che l’economia circolare consenta di perseguire un modello di sviluppo in grado di instaurare un nuovo tipo di relazione tra produzione e consumo, un vero cambio di passo nell’integrazione tra politiche ambientali ed economiche, basato sul ciclo di vita dei prodotti e incentrato sul recupero di ogni singola e preziosa materia prima.
Di recente l’Associazione si è fatta promotrice, con l’ausilio di un ente di ricerca e di una società di certificazione, di un’indagine conoscitiva tra le imprese italiane per testare il grado di conoscenza del modello e della sua applicazione pratica.
Il ruolo dell’Impresa
L’impresa, unitamente agli altri attori coinvolti nel ciclo produttivo, può contribuire al cambio di passo verso una nuova Economia Circolare e Responsabile attraverso pratiche e modelli produttivi a forte impatto rigenerativo, per se stessa e per la comunità del suo indotto, con moltiplicatori sociali importanti.
Fare di necessità virtù, riuscire a trasformare un esubero o un rifiuto in una “risorsa”, pensare un prodotto in chiave rigenerativa: questi i cardini principali dell’economia circolare, il modello di sviluppo che abbandona il modello lineare di produzione, uso e rifiuto, e che mira a chiudere i cicli. Non solo riuso, quindi, ma anche differenziare, riciclare e, soprattutto, pensare e progettare i prodotti in modo tale che, una volta arrivati a fine ciclo vita, possano essere facilmente disassemblati, riciclati, o riutilizzati per altri fini.
L’idea dell’economia circolare si è progressivamente evoluta e allargata e oggi riguarda molti settori merceologici.
I vantaggi dell’economia circolare sono molteplici: si consumano meno risorse e quindi si produce in modo più efficiente, si risparmiano energia ed emissioni, si scambia materia.
Dal recupero industriale di rifiuti si ottengono materie prime seconde che poi possono venire usate dal settore manifatturiero che in questo modo riesce anche ad ottimizzare i costi.
Nel momento in cui si pensa ad un nuovo prodotto si pensa già a tutto il suo ciclo di vita, anche a come lo si potrà riusare nel momento in cui non sarà più in grado di svolgere la sua funzione primaria. Per fare un esempio: ad oggi una delle difficoltà maggiori che si incontrano nell’applicazione pratica dell’economia circolare è data dal fatto che la maggior parte degli oggetti in uso è frutto di un processo di assemblaggio molto complesso, al punto che diviene poco conveniente e utile disassemblarlo per riusarne parti utili. Un esempio è quello del settore della profumeria e della cosmesi, dove il “non venduto” viene ancora totalmente incenerito nel proprio packaging.
Rivisitare la fase del design in chiave circolare significa anche fornire alle imprese competitività. Quindi,
se da una parte, la sfida dell’economia circolare può essere considerata una delle risposte più concrete nei confronti delle materie prime scarse e dell’impatto ambientale, dall’altra essa rappresenta una grande opportunità di business.
Un modo per tradurre in pratica il modello di economia circolare è il ricorso a soluzioni produttive che incentivino il cosiddetto PEF (Product Environmental Footprint) che indica le prestazioni ambientali di un prodotto o servizio nel corso del rispettivo ciclo di vita. Le informazioni relative alla PEF sono fornite con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei prodotti e servizi tenendo conto dell’intera filiera di approvvigionamento, dall’estrazione di materie prime, alla produzione nelle varie fasi, alla gestione del prodotto divenuto rifiuto.
Il concetto che sta alla base e che segna un distacco netto dalle dinamiche dell’economia tradizionale è la dimensione “rigenerativa” in assoluta identità con i cicli di vita biologici presenti in natura in grado di recuperare materia viva anche a fine vita (“restorative by intention” secondo la definizione dell’Unep). Tale modello si è diffuso nelle politiche di sviluppo di molti Paesi dando anche vita ad azioni preventive di progettazione dei prodotti di consumo in chiave di riuso, come, in Italia, sancito dal D.M n. 140/2016 sull’eco-progettazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
I risultati dell’indagine tra le imprese italiane
L’iniziativa ha avuto come obiettivo l’approfondimento della propensione delle aziende italiane all’economia circolare. Le aziende italiane hanno sviluppato o stanno sviluppando una coscienza legata ad un concetto di circolarità? Esistono già delle azioni concrete in tal senso? Quali sono le criticità che le aziende stanno incontrando nel loro percorso?
Si è inoltre ritenuto che una raccolta di informazioni sulle esperienze e gli orientamenti delle aziende italiane – oltre a sensibilizzare – aiutasse anche a promuovere il dibattito sullo sviluppo di reti di collaborazioni e partnership, considerato elemento decisivo per lo sviluppo dell’economia circolare.
Il questionario somministrato alle aziende è stato strutturato in quattro macro sezioni. La prima ha riguardato la raccolta di informazioni generali, utili ad identificare il soggetto rispondente; la seconda sezione ha identificato l’approccio all’economia circolare permettendo di entrare in modo pratico nel tema trattato. L’analisi è stata condotta sul se e come l’azienda abbia adottato il modello quali siano le pratiche in atto e quali siano le difficoltà riscontrate.
Nella terza sezione sono stati presi in considerazione diversi parametri per identificare le performance aziendali e gli strumenti adottati per aumentare l’efficienza, l’innovazione e la sostenibilità sul medio-lungo periodo. Nello specifico i quesiti riguardavano: le modalità di monitoraggio delle fonti di energia e dei consumi energetici al fine di ridurre le emissioni; l’adozione/l’utilizzo di un sistema per la valorizzazione di rifiuti, sottoprodotti e materie prime seconde al fine di implementarne il riutilizzo; la valutazione di partnership con altri soggetti della filiera produttiva; lo studio LCA (life cycle-assessment) su prodotti. La quarta sezione, infine, è stata utile per esplorare le aspettative delle aziende, in relazione alle iniziative che sarebbero auspicabili per favorire l’ulteriore diffusione di una cultura orientata all’economia circolare e la realizzazione di iniziative e progetti dedicati.
Il questionario è stato somministrato a un target di circa 30.000 destinatari, di cui circa 1000 hanno dimostrato interesse senza però completare tutte le domande, mentre circa il 10% è arrivato a completare il questionario per intero. Abbiamo interpretato questo dato come un segnale di forte interesse nei confronti del tema (circa 1000 soggetti hanno iniziato a rispondere al questionario) ma non pienamente supportato da conoscenze ed esperienze: in pochi, infatti, avevano sufficienti elementi e dati a disposizione, per poter rispondere alle domande più tecniche. Altre motivazioni potrebbero essere la scarsa sensibilizzazione, la carenza di incentivi che possano condurre le aziende a modificare, o quanto meno a revisionare, i propri processi di business, oltre che gli impedimenti di natura legislativa.
In ogni regione d’Italia abbiamo almeno una organizzazione che ha risposto al questionario, fatta eccezione per la Valle D’Aosta. La regione Lombardia con 34% delle imprese è quella col maggior numero di imprese che hanno risposto al questionario, seguita da Lazio con 12,5% delle imprese ed Emilia Romagna 8%.
È interessante notare come al primo posto tra gli impedimenti percepiti si trovi la mancanza di reti (24.61% degli intervistati).
“Interciclicità” e “dialogo tra industrie” sono due concetti chiave per l’economia circolare: uno scarto di lavorazione può entrare in diversi cicli o in filiere diverse rispetto a dove è stato generato; ne consegue che la creazione di reti è il passaggio fondamentale sul quale occorrerà concentrare gli sforzi per dare impulso al passaggio da economia lineare a economia circolare. E’ anche grazie alla rete e alla condivisione delle informazioni che si possono sviluppare nuove tecnologie.
Va da sé che tutto ciò si può sviluppare se, di pari passo, vengono a cadere quegli impedimenti legislativi che ad oggi non permettono di riutilizzare rifiuti o sottoprodotti in modo semplice e se si sviluppa una politica di incentivi.
La transizione verso un modello di economia circolare necessita di uno sforzo da parte dell’intera comunità – come si diceva in apertura – che veda coinvolti tutti gli attori in gioco (decisori, imprenditori, fruitori di beni e servizi, consumatori, ecc.) in un processo bidirezionale, sia bottom-up che top-down.
Sfide aperte
Nonostante i tanti studi pubblicati in questi ultimi anni che evidenziano un cammino virtuoso verso il modello, non siamo ancora riusciti ad avere in Italia un approccio sistemico sull’economia circolare. Le realtà osservate sono distribuite sul territorio a macchia di leopardo e in alcun modo dialogano tra loro. Siamo ancora lontani dal realizzare una piattaforma comune per industria e fra industrie in cui si scambino materie prime seconde.
Oggi l’economia circolare è una tendenza mondiale ed irreversibile. Ciononostante, molto deve essere ancora fatto per potenziarne l’azione sia a livello dell’UE che italiano per sfruttare il vantaggio competitivo che essa porterà alle imprese. L’interazione con i portatori di interesse ci suggerisce l’urgente necessità di agevolare le imprese nel cammino verso il modello circolare con norme e con contributi fiscali ad hoc. Proprio in questi giorni la Commissione europea ha incaricato gli organismi europei di normazione di elaborare criteri per la misurazione della durabilità, della riutilizzabilità, della riparabilità e della riciclabilità dei materiali. Ma molto occorre ancora fare.
Se non si recepiscono pienamente le politiche europee, anche in Italia, facendo tra l’altro partire i decreti che tecnicamente regolano il trattamento e la destinazione di quelli che finora sono considerati rifiuti e che invece possono diventare una risorsa per la manifattura italiana, rischiamo di perdere anche un’occasione di rilancio economico fondamentale per il nostro Paese.