Intervista di Eleonora Rizzuto su “La Repubblica”
Gli italiani sono consumatori sostenibili. Solo un prodotto su quattro, però, riporta le informazioni sul riciclo del packaging
di GIULIANO ALUFFI
Gli italiani hanno voglia di sostenibilità: dal più recente sondaggio Coop-Nomisma emerge che il 65% degli italiani avrebbe intenzione di usare meno plastica nell’anno in corso, e che il 64% vorrebbe sprecare di meno. E già nel 2019 uno studio realizzato da McKinsey (in collaborazione con la Camera nazionale della moda italiana) evidenziava che il 70% dei consumatori è disposto a preferire un prodotto ecosostenibile a uno con maggiore impatto ambientale quand’anche il primo costasse il 10% in più.
L’ultimo report dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 evidenzia che il paniere “green” del largo consumo, ovvero i prodotti caratterizzati da indicazioni che si riferiscono alla sostenibilità, vale ormai quasi 7 miliardi di euro, con un +3,4% nell’ultimo anno rispetto all’anno precedente. Ma se i consumatori responsabili esistono in gran numero, ciò che si può migliorare è la comunicazione delle aziende verso chi è più passivo rispetto al discorso della sostenibilità: oggi solo un prodotto su quattro del largo consumo confezionato riporta in etichetta le informazioni sul riciclo del packaging. E questo comporta sprechi evitabili, ad esempio, per il vetro: pur essendo un materiale completamente riciclabile, in molti casi sulle confezioni non viene ricordato di smaltirlo nelle apposite campane per la raccolta.
«Insistere sull’informazione al consumatore, per renderlo sempre più autonomo nella gestione degli scarti è la prima buona pratica che raccomandiamo alle imprese, come spieghiamo nel report che Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) pubblicherà a breve», spiega Eleonora Rizzuto, coordinatrice degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Asvis e cofondatrice di Aisec (Associazione italiana per lo sviluppo dell’economia circolare). «Un dato che è emerso durante questa crisi pandemica è, ad esempio, che molti cittadini non sanno come differenziare i dispositivi di sicurezza come i guanti e le mascherine usati. Quando si compra un prodotto, invece, già nell’atto dell’acquisto il consumatore dovrebbe ricevere le informazioni utili per lo smaltimento».
Il Covid19 ha assestato qualche colpo da cui l’economia circolare europea deve ancora riprendersi. «Un esempio: tra le industrie che più fanno uso di plastica riciclata c’è quella del giocattolo. Ma essendo quest’industria ferma, non ha potuto offrire sbocco al riciclo plastico», spiega Rizzuto. «D’altra parte è anche vero che certi comportamenti di consumo responsabile possono continuare, e anzi rafforzarsi, nell’era Covid19, come il prediligere filiere territoriali, e quindi più sostenibili: è molto più facile oggi accedere a mercati del proprio territorio piuttosto che ai prodotti d’importazione.
Non solo dall’estero, ma anche tra regione e regione». Un altro salvifico sprone verso la sostenibilità viene dalla Ue. «La nuova programmazione per il piano sull’economia circolare – ufficializzata l’11 marzo scorso – impone a tutti i governi di emettere, entro il 2020, leggi e decreti che prevedano l’obbligo della riparabilità e della durabilità dei prodotti», sottolinea Rizzuto. «Queste leggi, una volta in vigore, ridurranno lo spreco e aiuteranno sia le imprese che i consumatori a riflettere sempre di più sul significato dell’acquisto responsabile».
Uno dei punti nevralgici per aumentare la sostenibilità è il negozio. «Il modo in cui vengono confezionati gli acquisti è cruciale» spiega Rizzuto. «L’offerta di un involucro dovrebbe avvenire su richiesta del consumatore, e dovrebbe essere un involucro eco-compatibile e riciclabile. In epoca pre-Covid questo avveniva con una percentuale che in alcune filiere, purtroppo, non superava il 15% dei casi».
Un consumatore più informato diventerà anche più amico dell’ambiente. «Un settore dove l’informazione può fare la differenza è quello dell’edilizia» spiega Rizzuto. «Oggi esistono sul mercato soluzioni abitative con impatto ambientale molto basso, sia in fase di costruzione – ad esempio gli edifici con certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) – che di mantenimento. Ma non tutti i consumatori ne sono al corrente».
Fonte: Articolo di GIULIANO ALUFFI